“La lingua è tutto ciò che resta a colui che è privato della sua patria”
Holderlin
E’ un intricato mondo, complesso e caotico, quello della scuola pubblica. Lo descrivo dal di fuori, come una docente che lì lavora a partita iva e che quindi vede quel mondo da una prospettiva un po’ meno travolgente. A scuola non ci lavoro più bene; non con gli studenti, ma con gli insegnanti. Ci sono anni in cui capita che ci siano i fondi per pagare anche un paio d’ore a settimana in cui incontro i docenti curriculari per creare una rete di lavoro intorno agli studenti che non parlano italiano. Ma in quelle due ore non sono mai riuscita ad arrestare il fiume in piena delle preoccupazioni legate alla valutazione e allo stress del come faccio che “in classe non dice una parola”. In vent’anni non siamo riusciti mai, in nessuna scuola superiore in cui sono stata, a creare una trama di lavoro amorevole, accogliente, efficace. Io faccio il corso di italiano, do indicazioni su come preparare materiali facilitati, lotto per togliere le guerre puniche dal programma di prima e dagli obiettivi minimi per gli studenti che seguo, e gli insegnanti curriculari per lo più fanno lezioni frontali, interrogano, preparano verifiche, partecipano a duemila riunioni a settimana e a continui consigli straordinari. A guardarli sono stanchi, spesso poco lucidi. Sfiniti per un carico di lavoro e di impegni che gli annebbia la gioia di fare quello che fanno. Almeno così mi sembra guardandoli. E allora succede che, in una condizione emotiva così fragile, anche “gli stranieri” siano un daffare in più. Sfibrino. Perché hanno mille problemi loro, ancora di più le loro famiglie. Ma gli insegnanti devono valutare, mettere voti, promuovere, bocciare o rimandare. Soprattutto mettere voti. Purtroppo così non si va da nessuna parte, eppure in tanti avremmo delle idee così belle. Si rimane lì fermi, ognuno con le sue frustrazioni: insegnanti da una parte e studenti dall’altra. Diverse mie colleghe si sono spostate più nel campo della formazione rispetto ai temi dell’L2 (Lingua seconda e cioè l’italiano) e alcune volte raccontano: “C’era un gruppo di insegnanti davvero carino, con una grande energia e voglia di cambiamento ma…” Ma: poi in classe non si riesce a lavorare bene. Non si raggiungono gli obiettivi, i ragazzi sono stressatissimi. Molti studenti non italofoni abbandonano. Qualche mese fa ho tenuto anch’io una piccola formazione in una scuola superiore. Per 3 ore non ho sentito altro che lamentele. Alla fine della mia lezione, un insegnante ha alzato la mano e mi ha chiesto: “dove troviamo i fogli per stampare il lavoro che Lei ci chiede di fare? Noi abbiamo una risma di carta a testa e la usiamo per stampare le verifiche”. Così, ho sentito il lavoro del docente di lingua italiana piccolo piccolo, e cioè rimpicciolito. Come la Signora Minù. E mentre gli insegnanti tiravano fuori tutte le loro frustrazioni e le loro rabbie; io dentro di me, non facevo altro che canticchiare la canzoncina.
Scrivi un commento