Nel 2006 una delle mie più care amiche che lavora in una casa editrice mi dice: cercano un autore per scrivere un corso di lingua italiana per studenti delle medie e dei primi due anni delle superiori.

Accidenti, ci provo?

Ovvio. Fai una proposta editoriale, sappi che ne valuteranno un bel po’.

Lavoro come una matta. Ma era il mio primo libro. Ero inespertissima. Ragiono, scrivo, commento, cancello, riscrivo, aggiungo, tolgo, un entusiasmo che se ci penso adesso mi fa una grande simpatia. Invio tutto e non ci penso più. Sto con i “miei studenti”, mi diverto, insegno un sacco di ore al giorno perché se non lo faccio mi annoio e i fine settimana preparo mille attività, esercizi, interazioni. Poi arriva una mail, e subito dopo una telefonata: “la sua proposta editoriale è stata accettata”. Inizio a scrivere libri, corsi di lingua. Scrivo da tredici anni. Con gli ultimi due volumi per adulti, giro abbastanza. In tutta Italia mi organizzano workshop di presentazione. Li gestisco come laboratori appunto, molto interattivi. Mi diverto, il pubblico è sempre ben disposto a partecipare piuttosto che ad ascoltare e basta, e costruisco dei bei legami. Scopro anche che il palco mi piace da matti, che là sopra sto come sulle stelle, che per me parlare in pubblico è come andare in giostra per un bimbo, e soprattutto che avere un microfono in mano dà potere. Il microfono ti mette al centro dell’attenzione, soprattutto se non hai una sedia e ti muovi sul palco avanti e indietro come Benigni. Un trionfo poi, quando il microfono ce l’hai nel taschino e puoi anche gesticolare. Gli insegnanti mi chiedono: ma come si fa a fare quello che fa Lei? La domanda mi intenerisce, rispondo che non lo so. Mi sono capitate delle occasioni, sono andate bene, adesso son qui, domani chissà. E’ una bella sensazione, come da star. In quegli anni mi sono comperata delle giacche, delle camicie bianche, delle scarpe con un po’ di tacco. Poi però, quando tra mille saluti e abbracci e tanto calore umano, risalivo sul treno: BAM! Di colpo e per magia, nessuno mi conosceva, nessun passeggero sapeva che avevo appena finito di parlare davanti a 200 persone, nessuno ma proprio nessuno pensava che io fossi una star. Anche perché di solito, appena salita sul treno mi cambiavo le scarpe e riacquistavo tutto il mio metro e cinquantacinque. Arrivata a casa, mi facevo la doccia, aprivo una bottiglia di vino bianco e mangiando ne sorseggiavo un bicchiere. Alcune volte chiamavo gli amici per festeggiare, ma spesso erano impegnati con i figli e la famiglia. Una sera di qualche mese fa, un’altra delle mie più care amiche e colleghe mi ha telefonato: “Sto scendendo dal Trentino, ho tenuto una formazione di 6 ore con gli insegnanti che è andata benissimo. Sono ricca di emozioni, erano tanti ed è stata una giornata intensa. Se ritornando in Appennino faccio sosta a Bologna, beviamo un bicchiere di vino? Non vorrei rientrare a casa in solitudine tra i boschi, dopo una giornata come questa”. E ci siamo viste e abbracciate, mangiato un tagliere misto e bevuto un buon calice. Brindando insieme a quell’attimo di gloria. Perché è strano ritornare a casa dopo giornate così e sentirsi una persona qualunque. Anche se è giusto. Perché la vera verità, in fondo, è proprio quella lì. Per fortuna.